Testimonianze

Molti sono i pazienti, bambini e adulti, che al termine del ricovero o della terapia vogliono in qualche modo ringraziare il personale sanitario che si è preso cura di loro in un periodo difficile: e così questa gratitudine spontanea viene affidata a biglietti, disegni, poesie, lettere, quadri e molto altro ancora. Un anno fa, nel pieno della pandemia, questi “grazie” sono stati condivisi attraverso un progetto che ha coinvolto il personale della Radioterapia Oncologica del Policlinico Gemelli di Roma. E ora sono consultabili anche sul web.

Aprile 2020. Il Covid-19 si stava diffondendo in tutta Italia, il governo aveva decretato il lockdown generale, mentre ospedali e strutture sanitarie erano sotto pressione per l’arrivo di un gran numero di pazienti positivi al virus. In questo contesto di emergenza nasceva un’iniziativa, semplice quanto originale, per sostenere il duro lavoro di tutto il personale del centro di Radioterapia Oncologica (noto anche come Gemelli ART – Advanced Radiation Therapy) del Dipartimento di Diagnostica per Immagini, Radioterapia Oncologica ed Ematologia della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma. L’idea fu proprio del direttore del Gemelli ART, il prof. Vicenzo Valentini, che volle creare una rubrica dedicata a tutto il personale, circa 140 tra sanitari e amministrativi, in cui condividere le tante testimonianze di gratitudine consegnate dai pazienti, piccoli e grandi, al personale sanitario. Nascono così i “Semi di Gratitudine”. E le foto di piccoli biglietti o lunghe lettere, poesie e disegni colorati diventano per tutto il personale un sollievo alle fatiche e allo stress di un periodo così duro sul fronte sanitario e anche un modo per trovare nuova forza e motivazione nello svolgere al meglio il proprio compito.

Storie di malattia e di gratitudine

Per un anno, questi piccoli “grazie” dei pazienti sono stati condivisi quotidianamente dal personale del Gemelli ART, nel rispetto della privacy, mentre medici e infermieri facevano a gara nel condividere con gli altri quanto avevano ricevuto come segno di gratitudine. Ad oggi, sono quasi ottanta i “Semi di Gratitudine” raccolti, che continuano ad essere diffusi sulla chat interna del personale del reparto, ma che ora possono anche essere consultati online da chiunque in uno speciale volume sfogliabile. “I bambini ce lo insegnano, nei momenti duri sono importanti le carezze”, ha scritto il prof. Valentini nell’introduzione del volume. “Carezze che tante volte abbiamo ricevuto o riceviamo dai nostri pazienti. Carezze che a volte hanno la durata di sguardi, istanti, frammenti che fuggono via veloci come un respiro. Così vorremmo raccogliere in questo ‘luogo’ messaggi, immagini, volti, musiche, parole… Memorie, tracce di doni ricevuti e che desideriamo donarci nuovamente tra noi”. La raccolta, la selezione e la pubblicazione di queste testimonianze di gratitudine è stata curata in questi mesi da un gruppo di lavoro formato da due medici del Gemelli ART, Silvia Chiesa e Elisabetta Lepre, e dalla psicologa, Elisa Marconi. Il primo “seme”, risale all’aprile del 2020 per introdurre questa iniziativa: raffigura lo straordinario mosaico della Vergine Maria con in braccio Gesù Bambino, realizzato dal Centro Aletti di Roma e collocato all’ingresso del Gemelli ART. Sempre dell’aprile dello scorso anno è il secondo “seme”, stavolta scritto da una piccola paziente di nome Aurora. Si tratta di poche parole su un foglio a righe: “Insieme abbiamo sconfitto un mostro gigante, che si chiama paura”.

Al centro la visione del paziente

Ogni “seme” rappresenta una persona, la sua storia, la difficile lotta contro la malattia, e mette anche al centro la sua visione, le emozioni che ha vissuto in ospedale, aiutando così gli operatori sanitari ad orientare meglio la loro opera. “Quel periodo dell’aprile 2020 era caratterizzato da grande ansia e timore per il pericolo del contagio, di trasmetterci a vicenda l’infezione”, racconta la dott.ssa Elisa Marconi, psicologa e psicoterapeuta al Gemelli ART. “La paura faceva parte di noi, accompagnava le nostre giornate in reparto, gli incontri con i pazienti. E quelle semplici parole di Aurora sull’affrontare ‘insieme’ e sconfiggere la paura avevano allora, e anche oggi, un senso profondo per tutti noi”. Molti del Gemelli ART hanno ricevuto dei piccoli “regali” da parte dei pazienti, tanti naturalmente dai bambini. “In un periodo in cui non ci si poteva neanche toccare a causa della pandemia, i bambini sostituivano il contatto con degli oggetti, dei doni”, spiega la dott.ssa Marconi. “Tanti preziosi ricordi come quello di una bambina che mi ha portato un biscotto fatto da lei con scritto ‘dottoressa dolce’ e un altro bambino che mi ha voluto regalare un cuore colorato con le sue dita. Altri momenti belli sono quelli della condivisione, quando magari un paziente alla fine della terapia ci tiene a ringraziarci con qualcosa di goloso proveniente dalla propria terra, donarci un istante di leggerezza e di gioia e restituire, in questo modo semplice e familiare, ciò che ha ricevuto”. Il progetto sui “Semi di gratitudine” è diventato anche un lavoro di ricerca, che è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale “tipsRO” (Technical Innovations and Patient Support in Radiation Oncology).

L’importanza dell’accoglienza

Spesso questi “Semi di Gratitudine” sono il modo per il paziente di ringraziare per l’accoglienza ricevuta, per l’ascolto, per la condivisione, oltre naturalmente che per le cure e l’assistenza. Ma sono anche un indicatore prezioso per gli operatori sanitari, che possono così perfezionare l’organizzazione e la gestione del paziente sulla base dei suoi stessi pensieri ed emozioni. “Lavoriamo molto sull’accoglienza, affinché i pazienti si sentano a loro agio, compresi e sicuri nelle loro necessità, e i segnali che loro ci restituiscono con questi piccoli ‘grazie’ ci consentono di capire che stiamo lavorando nella direzione giusta o ci indicano dove migliorare”, sottolinea la dott.ssa Silvia Chiesa, medico radioterapista oncologo al Gemelli ART. “Sono gli stessi pazienti, con il loro linguaggio, a sottolinearci cosa significa accoglienza: un sorriso, uno sguardo, essere ascoltati, la professionalità, la disponibilità, anche la flessibilità. Le loro risposte positive ci aiutano a mettere in luce e a migliorare quegli aspetti del nostro approccio e della nostra organizzazione che hanno una buona ricaduta  sui pazienti”. Anche la dott.ssa Chiesa ha i suoi ricordi personali: “Succede spesso che le giornate in ambulatorio sono frenetiche, si deve correre, completare le visite. E i pazienti attendono tanto in sala d’attesa, sono nervosi, tesi. Ma spesso mi è capitato che, quando arriva il loro turno, si sentono presi in cura, sanno che siamo lì, che li ascoltiamo nei loro bisogni. E lo dicono con semplicità: Grazie per avermi ascoltato”.

Imparare la gratitudine dai pazienti

Non sono solo i pazienti a “ricevere” dagli operatori sanitari, ma anche  questi ultimi fanno esperienze personali importanti che vanno anche al di là dell’aspetto prettamente medico e professionale. “Con questa esperienza, ho scoperto che la gratitudine è uno strumento utile e bello sia per chi la riceve che per chi la esprime, ed io stessa ho imparato ad essere grata ricevendo tutta questa gratitudine”, racconta la dott.ssa Elisabetta Lepre, medico in formazione specialistica in radioterapia oncologica al Gemelli ART. “È stato a tratti commovente entrare nella vita delle persone, in aspetti così intimi e personali. Si corre sempre dietro alle tecnologie, rischiando di perdere la parte umana del rapporto medico-paziente: invece focalizzarmi sull’umanità delle persone mi ha aiutato a non sottovalutare questo aspetto, che reputo fondamentale”. Per i medici, l’incontro con i pazienti in ambulatorio è un momento molto importante per entrare in sintonia: “Da oltre un anno, tutti siamo costretti a portare la mascherina, che mette inevitabilmente in risalto lo sguardo”, ricorda la dott.ssa Lepre. “Al termine di una visita in ambulatorio, un paziente mi ha detto: ‘Grazie per questo sguardo che mi ha donato ’. A dire il vero, mi sono imbarazzata subito… ma è stato molto bello. I pazienti sono grati anche di piccoli segnali di accoglienza. Magari dovranno ricevere una brutta notizia circa la malattia, ma sono certi di essere seguiti e tenuti per mano”.

Per la XX Giornata del Sollievo

La scienza ci dice che la composizione delle lacrime, la composizione del film lacrimale, varia a seconda dell’emozione che ha provocato la lacrima. Il cervello istantaneamente compone la struttura della lacrima corrispondente all’emozione che è stata tracciata, cioè in questa luce che cade dagli occhi, come dice nella sua canzone Elisa delle lacrime, è iscritta l’emozione che il soggetto, l’intero sé ha sentito.

Inoltre, se una persona si commuove per ciò che vive il personaggio di un film, la sua lacrima assume la composizione della stessa emozione del personaggio, dimostrando che l’empatia non è una realtà solo filosofica: la connessione che sento con quello che vivi modifica il mio fisico e ha evidenza scientifica[1].

Il 26 maggio papa Francesco all’Udienza Generale, ha incontrato una donna polacca, sopravvissuta ad Auschwitz; lei gli ha mostrato il braccio con il numero della sua deportazione nel campo di concentramento. Papa Francesco l’ha guardata per qualche istante. Poi si è chinato e le ha baciato quel numero le ricorda quotidianamente un così grande dolore e orrore vissuto. “Il bacio del Santo Padre mi ha rafforzato e riconciliato con il mondo”.

Il potere di guarigione di un gesto, un’azione da corpo a corpo. Un bacio che dice la sacralità di un così grande dolore, ma quel bacio ha agito sul cuore della donna e ha attraversato 76 anni di memoria.

Le lacrime, un bacio sono esempi che dicono che siamo tutt’uno. Distinguiamo corpo, spirito, psiche, ma lo facciamo per cultura e per didattica, è però bene recuperare sempre l’Unità che siamo, altrimenti viviamo a metà, o in maniera dissociata. Anche perché altrimenti non si comprende il mistero dell’Incarnazione: Dio in Gesù si fa carne, non “si mette un vestito di carne”, ha assunto tutto del corpo e ogni sua cellula era pervasa dalla Vita Trinitaria, tanto che bastava anche solo toccare il lembo del mantello per guarire. Il Papa ci ricorda che “le guarigioni operate da Gesù non sono mai gesti magici, ma sempre il frutto di un incontro, di una relazione interpersonale, in cui al dono di Dio, offerto da Gesù, corrisponde la fede di chi lo accoglie”[2]. E noi siamo creati a sua immagine e somiglianza, siamo chiamati a coltivare l’interiorità buona che ci ha già donato, perché ciò che esce da noi sia bene per gli altri: le nostre parole, i nostri gesti, il nostro tocco, tutto può espandere il Bene.

Il tocco, per me fisioterapista è parte fondamentale del mio lavoro, considerare che, quando prendo tra le mie mani una parte del corpo del paziente, prendo tutta la persona cambia il mio tocco; se lo faccio in maniera sbadata dico: tu non sei importante; se lo faccio bruscamente dico: tu mi sei di peso, sei un peso; se nemmeno ti tocco o non ti guardo negli occhi ti dico: tu sei nessuno. È già brutto subirlo nella quotidianità, nella malattia fa ancora più male. Non succede sempre e non la maggior parte del personale, ma accade, e i pazienti mi dicono che questi sono atteggiamenti che feriscono e disorientano; accade per fretta, perdita di passione, urgenze varie e non ci si accorge più che si mandano messaggi contrari alla cura della persona. Il corpo non mente, occorre curare il cuore, sapendo che tutti desideriamo non solo fare il bene del paziente, ma anche essere un bene.

Tornando al tocco, sono sempre stata convinta che il contatto fosse necessario, come interscambio, dare e ricevere grazie al contatto fisico. Ho avuto la fortuna di lavorare diverse settimane nei reparti Covid delle Columbus e lì nemmeno un millimetro della mia pelle era esposto e portavo addirittura tre paia di guanti. Eppure quanto è passato! Quanto ho ricevuto da quei contatti, dal tenere la mano, dal mantenere il contatto fisico. Cercavo anche di mantenerlo più del solito, come tenere la mano su una gamba anche se passavo dall’altra parte del letto. In quella solitudine dell’isolamento totale, vissuto per di più nella paura di morire, nell’ansia per la propria famiglia, nelle mille domande… era un modo per dire: “Ci sei, sei importante”.

La malattia ti fa percepire il corpo come un ostacolo, se non un nemico, perché vorresti vivere, fare tante cose, ma il tuo corpo non risponde come vorresti, ti sembra di non riconoscerlo più; io non ho tante parole da dire, ma con il mio modo di toccarti forse posso darti sollievo perché ti dico che sei prezioso ai miei occhi e a quelli di Dio, “tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo (Is 43,4)… Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato (Is 49, 16)… sulle MANI (lo dice la Bibbia), sul suo corpo siamo disegnati! E in questa disposizione d’animo mi accorgo più facilmente di quanto tu stia dando a me, allora domani lo vedrai che sarò contenta di venire da te, spontaneamente, che non sarà solo un lavoro il mio, ma un incontro. Sono cose di cui facciamo esperienza tutti. Per noi ancora più importante perché so che lì c’è Gesù che si identifica nei malati e me lo conferma questa Vita che si muove tra me e te che sei ammalato e forse anche tu ti accorgerai che il Signore davvero si prende cura di te e lo fa attraverso tutti gli operatori sanitari che ti ha posto accanto. Questo è il vero sollievo. Gesù dice: “Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi e io vi ristorerò” (Mt 11,28).

Il servizio anche nei nostri ambiti si fa sempre più complicato, a volte frustrante, si corre tanto, si rischia di stare davanti a un video più che davanti a un paziente, veniamo al lavoro con il peso dei problemi che viviamo fuori. Perciò anche noi tutti abbiamo bisogno di sollievo, prendiamoci cura l’uno dell’altro! Coltiviamo la certezza che tutti sono un dono anche i colleghi con cui non andiamo d’accordo; facciamoci un po’ carico delle fatiche e dolori dell’altro, non rimaniamo indifferenti ai colleghi! Non ci toglierà energia, anzi si moltiplicherà e i nostri gesti, le nostre parole, il nostro tocco trasmetteranno anche tutto questo bene che ci scambiamo tra noi che qui lavoriamo.

Non è illusione, non è favola, è l’unica Strada.

Sr. Chiara

[1] Daniela Lucangeli – Corso “La teologia alla prova del Covid-19. Dialoghi con la Scienza”

[2] Papa Francesco – Messaggio del Santo Padre Francesco per la XXIX Giornata Mondiale Del Malato

Roma, 29 Maggio 2021

Questa mattina improvvisamente è deceduto il prof. Lucio Trodella. In questo momento di tristezza e di speranza di incontrarci ancora, non vorrei ricordare il suo percorso accademico, ma cercare di estrarre da quegli anni della sua giovinezza e maturità professionale che ha vissuto con noi, quanto di quella persona sia ancora parte del Gemelli ART. Ci sono due parole il cui significato, esprime molto bene la misura di quanto ancora oggi noi dobbiamo al suo insegnamento.

La prima è ‘clinica’: lui fu una radioterapista che non rinunciò mai ad essere prima di tutto un medico, un oncologo. Ancora oggi, ogni volta che nelle discussioni andiamo verso affermazioni che tendono a caratterizzarci per delle competenze super specialistiche tecnologiche emerge come dimensione ineludibile il fatto che prima di tutti noi siamo clinici e oncologi. Questa consapevolezza affonda su persone come il prof Trodella, per noi che l’abbiamo conosciuto Lucio, che questa identità l’hanno interpretata, insegnata e inserita come inalienabile nel nostro gruppo.

La seconda parola è ‘combattività’: Lucio non si rassegnava a progetti già scritti, né per il paziente, né per i ruoli e le organizzazioni nelle quali si trovava. Si impegnava sempre a trovare una soluzione che non lasciasse al paziente nulla di intentato e che non desse alla radioterapia il ruolo che meritava. Quante volte, ancora adesso, non ci rassegniamo a indagare se non ci sia un’indicazione migliore per il paziente o un ruolo da proporre per la nostra disciplina. Questa attitudine di tutti noi nasce da lontano, da persone come Lucio.

La nostra memoria è soprattutto questo: ritrovarlo vivo nel nostro quotidiano che si appoggia sulle spalle delle condivisioni e insegnamenti di chi ci ha preceduto.

Vincenzo Valentini

Caro Prof.

anche se da anni non abbiamo più condiviso la quotidianità lavorativa, c’è sempre stata una affettività, tra noi, tale per cui ciascuno sapeva di poter contare sull’altro come, sempre, testimoniato; anche a settembre, quando ci siamo visti per l’ultima volta, da lei, le nostre parole, come i racconti personali, esperienziali e le evoluzioni storiche, sono sempre andate in questa direzione.

Ieri, quando Rolando mi ha chiamato, ho subito pensato:.. “se n’è andato con l’onore delle armi”… si prof! ..perché nonostante i Suoi 78 anni, Lei, unico della Sua generazione, continuava ad essere, ancora, in trincea per i suoi ragazzi, come chiamava Sara e Rolando, che oggi sono chiamati a guidare la Sua squadra, per i Pazienti che continuava a seguire e per il Suo Campus che difendeva, giustamente, come “ la sua creatura”.

In queste ore ho ripercorso un po’ quegli anni che mi videro al Suo fianco.

Ricordo quando, nell’86, mi diceva “mai considerarsi sconfitti! ..bisogna saper risalire la china per dimostrare chi si è e quanto si sono sbagliati”..ed in realtà Lei, con la Sua storia, l’ha dimostrato in ciò che ha realizzato nonostante tutto!! ..in questo è stato veramente un grande!!!!

Mi sono ritornate le nostre conversazioni ma anche le Sue arrabbiature, a volte, a dire il vero, ingiustificate, alimentate da una sorta di “gelosia” o “senso di abbandono”; si perché a volte le situazioni contingenti furono tali da farle perdere la lucidità nella valutazione degli eventi e farle temere un mio “abbandono” o ancor peggio “tradimento”; anche quelle però mi sono servite a crescere e ad affrontare altre situazioni in cui sono stato da solo; per lei voleva il principio “o con me o contro di me”.

Quante diapositive fatte e rifatte o da catalogare.. ricorda prof? ..in quel Suo studio nel quale mi accolse e mi permise di restare, nonostante i cambiamenti, fin quando andò via. Per non parlare delle consulenze, in bozza, prima ancora di delegarmi a farle in Sua vece.. quanti insegnamenti che ancor oggi porto con me!! ..quante volte mi ha ricordato che le consulenze non possono mai prescindere dalla valutazione clinica del Paziente e devono solo considerate il vantaggio sul piano clinico prima ancora della modalità tecnica.. certo quelli erano gli anni del 2-D e 3-D ma la sostanza ancor oggi resta ed è per questo che, nonostante tutto, continuo ad andare nei reparti e parlare con i Pazienti prima di scrivere!!
Per non parlare dei protocolli, di quei sabati in cui ci si vedeva mentre Lei era di guardia, certo! ..perché all’epoca gli aiuti, lei lo era, facevano il sabato pomeriggio.. anche Netta ricorderà la stesura del protocollo della Gemcitabina con le sue triplette o Vincenzo della modalità di randomizzazione dell’N0… tempi che furono ma insegnamenti sempre validi!!
Per non parlare della sua caparbietà, da buon capricorno.. del suo decisionismo, un po’ alla “pensiero ed azione”, di altri periodi storici, o delle sue intuizioni..!! era la fine degli anni 80 quando ancora esisteva la fase di induzione per il WB.. ne intuì l’inutilità e, come era nel suo costume, subito ne decreto’ la fine! ..o anche quando iniziammo a fare i trattamenti radiochemio concomitanti in cui la Sua apparente “spavalderia” la porto’, con il prof Cellini, a sostenerne la necessità estendendola subito anche al polmone che ormai era diventata la Sua Patologia.. il Suo “cavallo di battaglia” in una fase in cui altre patologie erano intoccabili.. ricorda lo studio con il carbo?

E poi vennero i cambiamenti sulla gestione dei pazienti in lista per la RT; spesso un po’ contro tutti sostenne la necessità di una centralizzazione della prescrizione.. oggi tanta acqua sotto i ponti e’ passata e tante cose, giustamente, sono cambiate ma la necessità di separare la fase prescrittiva da quella della pianificazione sicuramente fu una delle sue tante intuizioni, non subito comprese e a tratti osteggiata.
Per non parlare di quei lunghi pomeriggi, tra una sigaretta e l’altra (ancora era permesso fumare in policlinico e noi di segarette ne fumavamo) in cui si riguardavano, con Giovanna, le cartelle e le famose gammagrafie e portal film per verificare che tutto fosse allineato; quanto stress, quante, non sempre giuste, prese di posizioni o cambiamenti, ma soprattutto quanti insegnamenti.. certo non c’era JCI e il manuale di qualità stava per nascere ma lo spirito dell’innalzare il livello di qualità e dell’indipendent check erano già presenti. Poi vennero gli anni del passaggio dai trattamenti per singolo fascio, che oggi farebbero inorridire anche lo specializzando al primo anno, a tutti i fasci al giorno.. quante reazioni per poter tenere lo stesso numero di trattamenti; certo oggi le cose sono molto cambiate, le conoscenze di base sono aumentate e lo spirito di gruppo che ci unisce e più forte ma quelle “lotte” sono servite!!

Prof vorrei o potrei ricordare ancora tanto, come il suo spirito a volte anche un po’ “paterno” che sapeva essere di riferimento anche in vicende personali , ma rischierei di diventare retorico o cadere nel patetico o ancor peggio essere accusato di piaggeria, d’altronde chi l’ha conosciuta sicuramente si porterà qualcosa e avrà raccolto altri aspetti come quello della sua ironia e verve che riusciva a tirar fuori dall’ambiente di lavoro, quando si era a cena in qualche occasione informale o di cene sociali congressuali specie se era affiancato dal Prof Caianiello.

Ora sicuramente Sara e Rolando sapranno raccogliere la Sua eredità per consolidarla e farla crescere mentre a noi, del Gemelli Art, il compito di ricordarla a chi non l’ha conosciuta in quanto non può esserci futuro senza conoscere la storia di ciò che si vive.

Un abbraccio con il cuore e buona strada,
Mario Balducci

Caro Mario,
leggendo queste tue parole mi è sembrato di tornare indietro negli anni.

Io ho iniziato con lui, con te e Giovanna e forte era nel gruppo la convinzione che la radioterapia era soprattutto clinica!

Il Professore era un uomo forte, fiero, onesto, a volte irascibile, ma sempre protettivo con i suoi.

Per quelli della mia generazione è la prima grande perdita di uno dei nostri Maestri.

Ci mancherà, ma come dici tu, nostro sarà il compito di portare ai pazienti e agli specializzandi la passione per questo ‘lavoro’ che lui ci ha trasmesso.

Netta Gambacorta

“I am grateful for the opportunities that you provided me in your laboratories. I was lucky enough to meet and work with you and your team during my fellowship in Rome. Hopefully, we will meet at future meetings. “

What part of your journey do you remember the most?

I came to Gemelli Hospital as a Thoracic Radiology Research Fellow. I was lucky enough to find the opportunity to work with Prof Valentino and his team in Pantheon Lab. The most significant thing that I first encountered was the well-organized structure of Gemelli ART and also the highly qualified staff members. Besides that, the most memorable part was the beautifully designed and well-lightened relaxing corridors and rooms, some with the wall paintings that reminded me Second Style Ancient Roman Wall Paintings. I used those wall paintings and the pictures belong to different scenes from Rome as my roadmap while discovering Rome.

How would you describe the life in the Gemelli ART laboratory? 

Being a researcher in Gemelli ART laboratory was a self-improving experience. The laboratory organisation that includes Medical Doctors, Biomedical Engineers and Medical Physicists create an environment that let researchers find novel research ideas and conduct those ideas. The staff of laboratory, other researchers and PhD students were always ready to help me whenever I needed.

Can you describe the difference between Gemelli ART and other structure that you worked in?

The main difference between Gemelli ART and other departments I have worked is Gemelli ART has a multidisciplinary structure, which enables high quality in both clinical work and scientific research.

How people of Gemelli ART affected your perception of the experience at the laboratory? 

 Working in Gemelli ART laboratory with other researchers and clinicians clarified my perception about future: I would like to work in a   productive place that ideas can flourish into scientific research with a strong team like Gemelli ART in the future.

Nel 2003 fu celebrata la prima Giornata del Sollievo presso il Policlinico Universitario “Agostino Gemelli”. Per noi ragazzi chiamati a svolgere un servizio durante la Giornata, tutto accadde in fretta, quasi senza renderci conto di quello che stavamo facendo. Non avevamo mai sentito parlare della Fondazione “Gigi Ghirotti” e non sapevamo che la stessa Giornata Nazionale del Sollievo era stata istituita già due anni prima con decreto del Presidente della Repubblica. Io ero uno studente di medicina che allora frequentava la Divisione di Radioterapia diretta dal Prof. Numa Cellini con cui avevo già collaborato per al cune attività di volontariato. Ricordo che una sera il Professore mi chiamò nel suo studio e mi chiese di leggere una lettera rivolta ai malati e scritta dalla dott.ssa Nicasia Teresi, persona a me allora sconosciuta. Decidemmo di contattarla e da quel momento in poi è nata una stretta collaborazione che poi è diventata amicizia tra noi e tutti i membri della Fondazione.

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Così dopo pochi mesi si decise di celebrare anche presso il nostro Policlinico la prima Giornata del Sollievo. Qualche tempo dopo venne istituito un concorso nazionale rivolto ai bambini delle scuole dal titolo: “Un ospedale con più Sollievo”. Quest’ultima iniziativa prese spunto da un incontro avuto con la dirigente della scuola ospedaliera del Policlinico la quale fu invitata a prendere parte alla grande festa del Sollievo presso la hall del Policlinico. Il segno tangibile di questa partecipazione è ancora oggi visibile: i bambini della scuola ospedaliera, infatti, realizzarono un bellissimo e coloratissimo cartellone con la scritta “Giornata Nazionale del Sollievo”, che ogni anno trionfa sul palco della hall.
Sono stato uno dei primi Ragazzi del Sollievo e penso che quest’esperienza sia stata una delle più importanti nella mia formazione umana e professionale.

Luca TAGLIAFERRI
Ragazzo del Sollievo dal 2003 ad oggi
“La volontà vince il deserto dei sentimenti”

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